Shirkers

Shirkers - Gioventù Svogliata

Quando avevo 18 anni, ormai molto tempo fa, pensavo che la libertà si trovasse immaginando nuovi mondi.

Prima di diventare un originale documentario autobiografico, il lavoro di Sandi Tan nasceva come film narrativo ben venti anni prima, dal sogno di tre amiche che nell’arte cinematografica avevano trovato il mezzo per esprimere se stesse. Fu così che Sandi scrisse la bizzarra sceneggiatura del vecchio Shirkers e, insieme alle compagne Sophie e Jasmine, investì tempo e denaro nel sogno di produrre un film tutto suo.

Con l’aiuto di George Cadorna,  misterioso maestro di cinema diventato loro amico, l’entusiasmo e la caparbietà delle ragazze permetterà di reperire mezzi e fondi per completare le riprese di un film che – a detta di molti  –  sarebbe potuto diventare un indie cult del cinema di Singapore. Tutto ciò resterà solo un sogno: prima che la pellicola fosse editata, Cadorna (che si era occupato della regia) scomparse inspiegabilmente insieme alle settanta bobine di girato, lasciando Sandi e le amiche con un cumulo di rabbia e risentimenti. 

Venti anni più tardi, quando ormai si era persa ogni speranza di rivedere la pellicola, Shirkers viene ritrovato. E da road movie su una ragazzina serial killer, il film rinasce in forma di diario audiovisivo. La Tan decide infatti di ripercorrere le tappe di quell’estate del ‘92 con la volontà di trovare il senso di un avvenimento che, in un modo o nell’altro, aveva condizionato la sua vita. Lo fa attraverso un originalissimo collage di foto, lettere, audio, appunti e disegni che remixa brillantemente con le riprese del film riscoperto. Le immagini del vecchio Shirkers fungono ora da materiale d’archivio che, grazie a questo remix, acquisiscono nuovi significati, diventando la partitura principale su cui la Tan costruisce il discorso. Il tema principale, perciò, non coincide unicamente con un’ironica ricerca investigativa di un film scomparso: Shirkers diventa inevitabilmente un percorso dell’autrice alla scoperta di sé; percorso di cui ci fa partecipi.

La regista, nonostante una delle amiche l’accusi affettuosamente –  tra le altre cose!  –  proprio del contrario, finirà per non nascondersi mai ed eviterà di sospendere il giudizio di sé, sottolineandolo e confermandolo con tutti i “documenti investigativi” a sua disposizione.
Il risultato è un prodotto estremamente personale che dimostra come un documentario possa tenere alto il coinvolgimento per un’ora e mezza nonostante la premessa da cui parte (“Che fine ha fatto Shirkers?”) non sia propriamente di “interesse collettivo”. E il motivo sta nel fatto che tutto ciò che fa da ornamento a quella premessa trasuda sincerità e affetto.

Ma Shirkers non è solamente un personalissimo esercizio di elaborazione di una mancanza e dei suoi effetti, è anche una dichiarazione d’amore verso una un’epoca e una sottocultura che la Tan racconta in modo diretto (e con un po’ d’orgoglio ) con i voice-over, ma anche, e indirettamente, attraverso lo stile visivo del film. A questo proposito si può notare come il vecchio Shirkers  avesse un’eccentricità di storia e colori che caratterizzerà molti film indipendenti successivi, che rientrano nella cosiddetta corrente “quirky” (e non a caso che la stessa regista citi Rushmore e Ghost World).
Concludendo, il merito più grande di Sandi Tan sta nell’essere riuscita a far “parlare” frammenti di pellicola che spogliati del loro significato originale hanno acquisito una nuova valenza di senso.
L’autrice riesce a calibrare perfettamente le interazioni tra materiali d’archivio e discorso filmico, trovando spesso una connessione (ironica o poetica) tra passato e presente, tra memoria e concettualizzazione del ricordo.