Medusa

Secondo lungometraggio della regista brasiliana Anita Rocha da Silveira, Medusa è stato tra i film in concorso selezionati dal Milano Film Festival, dove ha vinto il premio assegnato sulla base delle votazioni del pubblico in sala.

Traendo ispirazione da alcuni fatti di cronaca avvenuti in Sud America e prendendo atto di come gli estremismi di destra si stiano radicando nella società, Rocha da Silveira ha dato vita a una storia grottesca che è innanzitutto una denuncia satirica. Il film, presentato in anteprima al Festival di Cannes, evidenzia i meccanismi alla base di ogni radicalismo e le caratteristiche che trainano molte di quelle ideologie: machismo, violenza, fanatismo religioso, esaltazione del patriarcato e castrazione del desiderio femminile.

La protagonista del film è la giovane Mariana. All’interno di un mondo che sembrerebbe distopico (ma forse non lo è), la ragazza lavora di giorno per una clinica estetica, mentre la sera si aggira per le strade in compagnia delle sue amiche, con il volto coperto da inquietanti maschere bianche.
Mariana e le altre vanno a caccia di donne considerate da loro peccatrici, e quindi meritevoli di essere violentemente punite sino a che non accettano il pentimento e “luce di Gesù”. Il tutto registrando orgogliosamente le missioni punitive e condividendo sui social le confessioni delle loro vittime.

Insieme alla loro controparte maschile (I Guardiani di Sion), le ragazze frequentano un night club in cui assistono ai deliranti ed energici sermoni del pastore della loro comunità evangelica, e in cui si esibiscono con balletti e performance canore di canzoni pop rivisitate in salsa religiosa.
Quando Mariana viene ferita da una vittima che le lascia il volto coperto da una vistosa cicatrice, la ragazza si trova nelle condizioni di dover riconsiderare gli standard della sua comunità religiosa e inizia un percorso di liberazione dal controllo degli impulsi sessuali.

L’aspetto più affascinante della pellicola è il contrasto tra la comicità di alcune situazioni e la crudezza – concettuale ancor più che visiva – delle scene di violenza. Se momenti come i video tutorial su Instagram per “selfie perfettamente cristiani” o la cover di “House of the Rising Sun” cantata dal gruppo di Mariana sono delle chicche di umorismo brillante, il modo in cui la violenza è normalizzata, giustificata e mistificata dalle ragazze è agghiacciante.

Il punto di partenza, come suggerisce il titolo, è il mito di Medusa e la riflessione su come spesso alcune donne reagiscano alle pressioni della società contribuendo creare la propria prigione e, peggio ancora, tentando di piegare altre donne a quel tipo di controllo, al fine di sentirsi maggiormente accettate e valorizzate dai loro stessi “aguzzini”.

Medusa è un film difficile da inquadrare ma facile da guardare, nonostante alcuni intermezzi in cui la storia si perde un po’ nel suo stesso estetismo visionario e simbolico, rendendo difficile capire la differenza tra sogno e realtà.
Ben recitato e visivamente appagante, amalgama finemente toni e generi differenti muovendosi tra dark comedy, fantasy, musical e horror psicologico. Anche per merito di una fotografia raffinata che mescola colori pastello, luci al neon o contrasti saturi che ricordano Nicolas Winding Refn e Dario Argento.

Anita Rocha da Silveira non è certo la prima ad aver utilizzato la satira per enfatizzare l’ipocrisia umana e denunciare un problema sociale, ma il suo film riesce comunque a risultare fresco, originale e provocatorio al punto giusto, fondendo sapientemente distopia e commedia in un viaggio pittoresco in cui è difficile annoiarsi.