In My Skin

Kayleigh Llewellyn (2018-2021)

Potrà sembrare banale detto di un prodotto autobiografico, ma ciò che meglio descrive In My Skin, cogliendone appieno il nucleo narrativo ed emozionale, è l’aggettivo autentico. Ed è attorno all’idea di autenticità che Kayleigh Llewellyn costruisce e sviluppa l’identità in divenire della sua giovane protagonista; autenticità che finisce per rappresentare una vera e propria chiave di volta alla fine di un percorso lungo dieci, densissimi episodi.

La protagonista di In My Skin

Bethan (Gabrielle Creevy), il cui personaggio si basa sull’adolescenza di Llewellyn, sogna di fare la scrittrice. Non è un caso che il primo episodio della serie inizi con l’insegnante che le suggerisce di scrivere su cose reali e da lei vissute: “Just be honest.”
Ma Bethan non è onesta nemmeno nella realtà e, anzi, le sue menzogne oscillano tra il compulsivo e il patologico. La ragazza vive nel terrore che amici e compagni di scuola possano scoprire la verità sulla sua situazione familiare e finisce per costruire una vita fittizia in cui i problemi mentali della madre o l’alcolismo del padre non hanno spazio.
Ma come può, una giovane scrittrice, essere autentica se non riesce a esserlo nemmeno nella sua vita reale? La premessa e la (bellissima) conclusione della serie, sta tutta qua.

Llewellyn evita di dipingere Bethan unicamente come vittima e nonostante le circostanze obiettivamente tremende in cui è costretta a vivere non c’è alcun pietismo nel modo in cui è scritta. Povertà e difficoltà familiari non sono le uniche cosa che definisco la protagonista come persona: a differenza di come accade in troppi drammi a sfondo sociale, in In My Skin il personaggio non è il mezzo utilizzato per raccontare un problema, ma è il problema ad essere uno dei tanti mezzi usati per raccontare la persona, con i suoi pregi e soprattutto i suoi difetti. Questa strategia non depotenzia il messaggio sociale ma lo amplifica, dando allo spettatore l’impressione di assistere a uno spaccato di vita – come si diceva – autentico, e non a un dramma spettacolarizzato per scopi narrativi.

Bethan con la madre, in In My Skin

Nonostante non si abbia mai l’impressione che Llewellyn calchi la mano sugli avvenimenti asservendoli alla struttura del racconto, è sorprendente come In My Skin funzioni perfettamente anche nel suo impianto narrativo: gli episodi hanno ritmo, intrattengono e coinvolgono, e la corposità o drammaticità degli eventi che si susseguono non sembra mai una forzatura.
Complice anche la capacità di Kayleigh Llewellyn di equilibrare la crudezza degli argomenti con la brillantezza e lo humor dei suoi dialoghi: sprazzi di comicità e spensieratezza alleggeriscono il tono dando respiro, senza per questo svilire le difficoltà della protagonista.
Se nei suoi picchi più divertenti e leggeri In My Skin può essere accumunato ad alcune riuscitissime teen comedy britanniche come Derry Girls o My Mad Fat Diary, Llewellyn non abbandona mai totalmente il realismo, e l’equilibrio tonale tra dramma e commedia fa sì che il sarcasmo – seppur presente e caratterizzante – venga percepito più come proprietà intrinseca dei personaggi piuttosto che della serie di per sé.

Bethan a scuola, da In My Skin

E benché il cuore pulsante della storia sia rappresentato dal commovente e a tratti straziante rapporto tra Bethan e la madre (interpretata splendidamente da Jo Hartley), In My Skin ha anche il merito di offrire una rappresentazione differente e positiva di una relazione tra due giovani adolescenti lesbiche. Questo non significa dover arrivare necessariamente al fatidico “e vissero felici e contente” ma avere la capacità di non banalizzare la relazione conferendole un significato che va ben oltre alla semplice timbrata del cartellino.
Nella seconda stagione l’incontro con Cam sarà di vitale importanza per la maturazione di Bethan, non in un prospettiva di co-dipendenza ma nella direzione di una crescita personale e individuale. Se le relazioni tra adolescenti (e forse ancor di più tra ragazze adolescenti) possono essere spesso totalizzanti, Cam avrà la consapevolezza necessaria per capire come Beth abbia bisogno di affrancarsi da quelle dinamiche per il raggiungimento di un’autenticità identitaria che, come detto, è sia fine ultimo che filo conduttore che traina In My Skin.

Cam e Bethan, da In My Skin

Sebbene oltremanica la serie di Kayleigh Llewellyn sia considerata un piccolo gioiello a basso budget (il mese corso ha anche vinto due Bafta come miglior sceneggiatura e miglior serie drammatica), qua in Italia, complice una distribuzione assente, è praticamente sconosciuta. Ed è un vero peccato perché In My Skin è semplicemente un prodotto troppo bello per essere ignorato.