Presentato “Fuori Concorso” a Venezia 79, Pearl è un film che meritava la candidatura al Leone d’Oro, se non altro che per l’interpretazione di Mia Goth, in questo film non solo attrice ma anche sceneggiatrice insieme al regista Ti West.
In una fattoria di immigrati tedeschi, Pearl è costretta a prendersi cura del padre malato e sottostare alle continue umiliazioni della madre, mentre sogna di scappare in Europa per realizzare il suo sogno di diventare una stella del cinema.
Pearl è un horny horror, un coming-of-age bestiale e divertente che ricorda I, Tonya per la tridimensionalità della protagonista femminile, che qui è immersa in una favola allucinante alla Il Mago di Oz, con tanto di amici alligatori e amanti spaventapasseri. Con questo film, West rende omaggio al technicolor e regala persino un momento di meta-cinema, mostrando una delle prime pellicole porno in una sala cinematografica. Il film è ambientato negli anni ’20, quando il porno già esisteva e diventerà presto un importante strumento di guadagno, come intuisce il giovane proiezionista bohémien che seduce Pearl e le regala un fotogramma della pellicola hot.
Il film affronta il tema dell’infermità psicologica, in tempi in cui la pandemia ci ha costretti a restare chiusi in casa, mettendo a dura prova la nostra sanità mentale. La società è malata e la protagonista, come una versione al femminile di Joker, è uno dei suoi prodotti. Pearl è una ragazza ossessiva, maniacale, feroce, viscerale. Come molte ragazze della sua età, è ambiziosa, piena di ubris, ma è anche molto ingenua ed innocente. Quando scopre che non sono gli innocenti a governare questo mondo, Pearl non lo accetta. Lei è quella che Itziar Zigar definirebbe e rivendicherebbe come “cagna”: infatti, Pearl non è una donna addomesticabile, lei abbia, ringhia contro il sistema, contro quelli che, ora con spietata crudezza ora disarmante leggerezza, le dicono che non è abbastanza, che non è all’altezza dei suoi sogni. Calpestata, usata, umiliata, divisa nella dicotomia madre/puttana, tra il desiderio di essere la moglie e la figlia perfetta, e il sogno di diventare una stella del cinema (cioè “una sgualdrina”) Pearl si rompe, si lacera, fino ad esplodere. Non potendo diventare una diva, la protagonista esibisce sul palcoscenico della fattoria la propria deriva psicologica, una vera e propria catabasi negli inferi della follia. Pearl trascina lo spettatore con sé in una danza infernale senza fine, dove lei stessa è la coreografa degli omicidi che commette.
Dopo aver lasciato tutti senza parole con il suo monologo, una sorta di confessionale allo spettatore in cui emergono le sfumature della protagonista, Mia Goth regala, sui titoli di coda, un suo lunghissimo primo piano, contaminato da uno dei sorrisi più perturbanti della storia del cinema.